lunedì 16 marzo 2015

Convegno , Palermo... e una sicurezza che cambia

Lunedì 23 marzo 2015 , ore 10:00 parteciperemo al convegno che si terrà presso il San Paolo Palace Hotel di Palermo.....

venerdì 13 marzo 2015

RINGRAZIAMENTI

POLIZIA DI STATO : SQUADRA MOBILE CATTURANDI,  SQUADRA ARTIFICIERI E UNITA' CINOFILE .
GUARDIA DI FINANZA .
MAGISTRATURA GIUDICANTE E REQUIRENTE .
POLIZIA POSTALE
SINDACO DEL COMUNE DI PARTINICO
QUESTURA DI PALERMO
PREFETTURA DI PALERMO
ARMA DEI CARABINIERI
S.I.A.P
SENATORE GIUSEPPE LUMIA
PRESIDENTE DELLA REGIONE SICILIANA ROSARIO CROCETTA
SALVATORE COMO SEGRETARIO GENERALE F.I.A.P
DOTTOR LUIGI LOMBARDO SEGRETARIO GENERALE F.I.A.P
DOTTOR LEONARDO GUARNOTTA MAGISTRATO ANTIMAFIA DELLA PROCURA DI PALERMO .
DOTTOR MARIO CONTE MAGISTRATO DELLA CORTE D'APPELLO DI PALERMO

SI RINGRAZIA LA PROFESSORESSA ANGELICA PISCITELLO PER LA COLLABORAZIONE

RICONOSCIMENTI

HANNO REALIZZATO IL SEGUENTE BLOG GLI ALUNNI DELLA CLASSE IV A RISTORAZIONE , CON LA PARTECIPAZIONE DI TUTTI GLI ALUNNI DELL'ISTITUTO

ALLEGRO EMILIO
BADALAMENTI YLENIA
BONO MONICA
CUSUMANO ILENIA
DI FRANCO IVANA
FERRO ROBERTO
GAGLIO CASIMIRO
INGHILLERI ALESSIO
LICARI SAMUELE
LUNETTO SALVATORE LORENZO
MATTINA FABIO
MARABETI MATTIA FEDERICO
PIZZURRO DOMENICO
SCASSO ANTONIO VINCENZO
SCHILLIZZI GIOACCHINO MANUEL

SITI UTILI

www.senatoperiragazzi.it/galleria/Lezioni_di_Costituzione_Giornate_di_Formazione_11_12_dicembre_2014

www.senato.it/

www.camera.it/leg17/28

www.sicurezzanazionale.gov.it

www.slideshare.net/profange/progetto-cittadinanza-e-costituzione-43652403



Dallo Statuto del Regno alla Costituzione della Repubblica italiana

Dallo Statuto del Regno alla Costituzione della Repubblica italiana

Profilo storico
La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale e fondante dello Stato italiano.
Fu approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947. Fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio 1948.
Lo Stato italiano nasce, da un punto di vista giuridico-istituzionale, con la legge del 17 marzo 1861 che attribuisce a Vittorio Emanuele II, «re di Sardegna», e ai suoi successori, il titolo di «re d'Italia». È la fondazione di uno Stato italiano, sebbene altri Stati, nel passato, avevano già portato tale nome, dai tempi dei Goti ai Longobardi, per finire al periodo napoleonico.
La continuità tra il Regno di Sardegna e quello d'Italia è normalmente sostenuta in base alla estensio ne dell'applicazione della «Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia», il cosiddetto Statuto albertino, dal nome del re che lo promulgò, Carlo Alberto di Savoia-Garignano, nel 1848, adottato da tutti i territori progressivamente annessi al Regno sardo-piemontese a seguito  delle guerre d'indipendenza.
Lo Statuto Albertino, nonostante non abbia natura di fonte legislativa sovraordinata alla legge ordinaria, può essere considerato a tutti gli effetti un primo esempio di costituzione breve.
 Lo Statuto albertino fu simile ad altre costituzioni rivoluzionarie vigenti nel XIX secolo e rese l'Italia una monarchia costituzionale, con concessioni di poteri al popolo su base rappresentativa. Era una tipica costituzione "ottriata", (dal francese octroyée: concessa), ossia “concessa” dal sovrano e, da un punto di vista giuridico, si caratterizzava per la sua natura "flessibile", ossia derogabile ed integrabile in forza di atto legislativo ordinario1. Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, proprio a causa della sua flessibilità, fu possibile portare l'Italia da una forma di monarchia costituzionale pura a quella di monarchia parlamentare, sul modo di operare tradizionale delle istituzioni inglesi. Lo Statuto albertino corrisponde a ciò che si definisce una costituzione breve: si limita ad enunciare i diritti (che sono per lo più libertà dallo Stato) e ad individuare la forma di governo, ma non si pone il fine di raggiungere obiettivi di convivenza, né di prefigurare i rapporti dei consociati (Stato-comunità) tra di loro e tra questi e lo Stato-apparato.
 Il primo Parlamento dello Stato unitario, all’inizio del 1861, si compose con un suffragio elettorale ristretto al 2% della popolazione; nel 1882 il diritto di voto fu portato al 7% della popolazione; con le  riforme del 1912 e 1918, il diritto fu esteso fino a una forma di suffragio universale maschile.


(1)    La prima modifica che lo Statuto subirà sarà quella relativa alla bandiera, da quella con la coccarda azzurra a quella con la coccarda tricolore, a seguito della ribellione del Lombardo-Veneto (1848)


Nell'aprile del 1945 gli alleati angloamericani e le organizzazioni partigiane portarono a compimen-to la liberazione di tutto il territorio nazionale. Si trattava ora di porre le basi del nuovo Stato.
Già con il Patto di Salerno dell'aprile del 1944, stipulato tra il Comitato di Liberazione Nazionale e la Monarchia, si decise, tra l'altro, di procedere alla scelta tra la Monarchia e la Repubblica a conclusione delle operazioni belliche. Con lo stesso Patto si decise anche che, a guerra terminata, gli italiani avrebbero dovuto eleggere un'Assemblea Costituente con il compito di redigere una nuova Costituzione.
Dal 1928 il popolo italiano non era più stato chiamato alle urne, ma, finalmente,
il 2 giugno 1946
si celebrarono le elezioni. Ad ogni italiano, uomo o donna di almeno 21 anni di età, vennero consegnate due schede: una per la scelta fra Monarchia e Repubblica, il cosiddetto referendum istituzionale, l'altra per l'elezione dei 556 deputati dell'Assemblea Costituente sulla base di un sistema elettorale proporzionale a liste concorrenti e collegi elettorali plurinominali.
Esse rappresentarono, nella storia del Paese, le prime elezioni che si svolsero a suffragio universale, maschile e femminile; per la prima volta il diritto di voto venne esteso anche alle donne.

La proclamazione della Repubblica

Il 9 maggio 1946 avvenne l'abdicazione del Re Vittorio Emanuele III a favore del figlio Umberto II, il quale, prendendo atto dell’esito del referendum, a favore della Repubblica,
il 13 giugno 1946, decise di lasciare il Paese con la sua famiglia e andare in esilio, riconoscendo la sconfitta e la fine della Monarchia.
Il 18 giugno 1946 la Corte di Cassazione, preso atto dei voti espressi, sul cui computo non mancarono polemiche, proclamò ufficialmente la vittoria della Repubblica.
Il primo Presidente della Repubblica italiana fu Luigi Einaudi, eletto dal Parlamento secondo le regole contenute nella nuova Costituzione (tit. II della seconda parte), il 12 maggio 1948, dopo le prime elezioni politiche vere e proprie del 18 aprile dello stesso anno. Fino ad allora assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola che venne eletto dall'Assemblea Costituente appena insediatasi.

 

L'Assemblea Costituente


Gli esiti dell'elezione dei 556 componenti dell'Assemblea Costituente che, in rappresentan-za del popolo, avrebbero elaborato la nuova Costituzione, furono per lo più favorevoli a quei partiti politici che avevano combattuto la dittatura e, in particolare nel corso della Resistenza, si erano riorganizzati assumendo un ruolo guida nella lotta armata contro il nazifascismo e nella transizione dallo Stato fascista al nuovo Stato.
Il 25 giugno 1946 venne insediata l'Assemblea Costituente che, come già ricordato, come suo primo atto procedette alla nomina del Capo provvisorio dello Stato nella persona di Enrico De Nicola; dopo di che iniziarono i lavori di predisposizione del testo della nuova Costituzione. Una commissione composta da 75 membri rappresentativi di tutta l'Assemblea ricevette l'incarico di redigere un progetto che avrebbe dovuto servire da base per la successiva discussione.
Dopo circa sei mesi di attività, la "Commissione dei 75" presentò il suo lavoro all'Assemblea che nel corso di quasi tutto il 1947 discusse, integrò, modificò, articolo per articolo, quella prima proposta e, finalmente, il 22 dicembre dello stesso anno approvò a larghissima maggioranza il testo definitivo della Costituzione che successivamente venne promulgato dal Capo provvisorio dello Stato ed entrò in vigore il primo gennaio 1948

 

 

Una Costituzione che nasce dal popolo


Per la prima volta gli italiani avevano una Costituzione elaborata direttamente dai loro rappresentanti liberamente e democraticamente eletti.
Essa rappresenta, come la definì un grande giurista antifascista e membro dell'Assemblea Costituente, Piero Calamandrei, "il programma politico della Resistenza". Egli scrisse: "...Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi: caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento... morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta...". E ancora: "...Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione".
La Costituzione si affermò come patto fondamentale tra forze politiche diverse, ma accomunate dall'antifascismo e da una forte ispirazione ideale nata nella guerra di Liberazione.
Ad essa i Costituenti decisero di imprimere il carattere della rigidità, collocandola al vertice di tutto l'ordinamento giuridico. Si tratta di una caratteristica propria di quasi tutte le Costituzioni democratiche del novecento legata, appunto, al valore di patto fondamentale tra le diverse forze politiche che esse assumono.
I Costituenti decisero dunque di mettere al riparo gli articoli della Costituzione repubblicana da eventuali futuri colpi di mano di momentanee maggioranze politiche, parlamentari e di Governo, imprimendo ad essa il carattere della rigidità. Le regole del gioco e i principi su cui si sarebbe edificato il nuovo ordinamento non potevano essere toccati se non con un apposito procedimento di revisione costituzionale, molto più lungo e gravoso del normale procedimento legislativo e comunque solo con la partecipazione di larghissimi schieramenti politici.
L'art. 138 della Costituzione, infatti, prevede per la modifica di una parte della stessa Costituzione una doppia votazione ad opera delle due Camere, ad intervallo non inferiore a tre mesi, una maggioranza qualificata per l'approvazione e l'eventualità di un referendum popolare qualora ne facciano richiesta un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali, ma solo nel caso in cui l'approvazione sia avvenuta a maggioranza inferiore ai due terzi e, comunque, superiore alla maggioranza assoluta.
Un altro importantissimo meccanismo giuridico, a tutela della rigidità della Costituzione, è poi previsto da altre norme della stessa Costituzione collocate immediatamente prima dello stesso articolo 138, nel medesimo tit. VI della seconda parte, non a caso intitolato "Garanzie costituzionali". Si tratta della Corte Costituzionale, non presente nel vecchio Statuto Albertino, che ha, tra i suoi compiti principali, quello di giudicare le controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni (art. 134 Cost.).
La Corte Costituzionale può abrogare tutte le norme di legge che contrastino con la Costituzione, che in tal modo è effettivamente, e non solo formalmente, saldamente collocata al vertice di tutto il diritto italiano come una sorta di "legge delle leggi", a massima garanzia e tutela del patrimonio ideale della lotta antifascista da cui essa nacque e degli altissimi valori che essa espresse, contenuti nelle diverse disposizioni costituzionali.

 

Le idee e i contenuti della Costituzione

 

La Costituzione Italiana, in vigore dai 1° gennaio 1948, è composta da 139 articoli e suddivisa in Parti. Queste a loro volta sono suddivise in Titoli, taluni dei quali suddivisi in Sezioni, tutti preceduti dai "Principi fondamentali". Oltre ai principi fondamentale, la Costituzione consta di due parti: la prima relativa ai "Diritti e doveri dei cittadini"; la seconda riguardante l' "Ordinamento della repubblica".


I Principi fondamentali (articoli da 1 a 12) contengono le decisioni essenziali sul tipo di Stato e sul tipo di società voluti dalla Costituzione.
In particolare, essi stabiliscono:
- Le regole essenziali relative allo Stato in quanto tale: il suo carattere repubblicano e democratico;
- I rapporti essenziali tra lo Stato e i singoli, col riconoscimento dei diritti inviolabili e dell'uguaglianza tra gli uomini;
- I principi più importanti che riguardano i rapporti tra lo Stato e gli altri ordinamenti, in particolare con la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose, e con l'ordinamento internazionale.

La Parte prima della Costituzione è intitolata Diritti e doveri dei cittadini (articoli da 13 a 54) ed è divisa in quattro Titoli, che trattano delle posizioni soggettive considerando le persone in quanto tali e poi allargando la prospettiva alle diverse strutture in cui esse sono inserite, dalla famiglia, alla scuola, all'organizzazione economica e a quella politica.

La Parte seconda è intitolata Ordinamento della Repubblica (articoli da 55 a 139) e contiene le regole sull'organizzazione dello Stato.

In coda alla Costituzione sono state collocate 18 Disposizioni transitorie e finali; esse hanno la medesima efficacia delle altre norme della Costituzione, cioè sono fonti costituzionali.
Sono state collocate a parte per due ragioni:
- le norme transitorie sono quelle che prevedono vari adempimenti, con le relative scadenze temporali, richiesti per la messa in opera delle previsioni costituzionali e per saldare l'ordinamento precedente con il nuovo;
- le disposizioni finali contengono norme che fanno eccezioni ai generali diritti civili e politici, dettate per la particolare situazione storica dell'Italia, al termine del ventennio fascista e alla fine del periodo monarchico.
Si definiscono finali semplicemente perché sono state collocate alla fine della Costituzione.

La maggior parte di questi articoli fu approvata con larghissime maggioranze, ma il loro contenuto è il frutto dell'incontro di idee e valori dei partiti presenti all'interno dell'Assemblea Costituente, spesso diversi, tuttavia uniti dal comune sentire della lotta antifascista e dalla ferma volontà di dare all'Italia una Costituzione che traducesse in precise disposizioni le speranze e le attese per un profondo mutamento dello Stato e della società.
La Costituzione italiana nasce dalla confluenza di diversi principi ispiratori: all'idea democratica di base, si uniscono i valori dell'antica tradizione liberale italiana, quelli propri del socialismo dei partiti della sinistra e infine quelli della dottrina sociale della Chiesa a cui si ispirava la Democrazia Cristiana.
Il risultato che ne conseguì venne definito da molti un compromesso costituzionale, il che non deve però erroneamente richiamare una soluzione deleteria o di basso profilo. Al contrario, esso rappresentò il desiderio di edificare un impianto costituzionale in cui ogni Costituente cercò di dare il meglio della sua concezione e in cui la maggior parte degli italiani potesse identificarsi.
La Costituzione repubblicana non nacque quindi dalla preponderanza di una parte politica sulle altre, ma da un aperto e fecondo incontro ideale, da un'intesa che doveva servire come guida alle variabili maggioranze parlamentari e di Governo che, domani, diversamente interpretandola, avrebbero dovuto poi tradurla in provvedimenti concreti.
D'altra parte è nella natura di tutte le Costituzioni democratiche di questo secolo, che scaturiscono da Assemblee Costituenti elette a suffragio universale e rappresentative di diverse aspirazioni e interessi, il loro affermarsi come patto sociale, punto di convergenza tra diverse forze politiche che affidano a questa legge fondamentale il compito di fissare quei principi in cui tutta una Nazione si possa riconoscere, a garanzia della loro legittimità e del loro rispetto effettivo.
A maggior ragione è comprensibile, e, se possibile, assume anche maggior valore, l'intesa che fu alla base della Costituzione italiana da parte di quelle forze politiche che, dopo la tragedia della dittatura e della guerra, volevano tradurre in norme i valori ideali della Resistenza e della lotta contro il nazifascismo che le avevano accomunate, nonostante le diverse matrici ideali che le animavano fossero il riflesso di una società non omogenea, spesso agitata da conflitti sociali, in cui sussistevano differenze profonde, fra le diverse classi e fra appartenenti alle stesse classi nel Nord e nel Sud.

L'idea base della Costituzione italiana è rappresentata dal valore che viene attribuito alla democrazia. L'art. 1 dichiara che "L'Italia è una Repubblica democratica..." in cui "La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".
Lo Statuto Albertino, al contrario, si apriva con l'enunciazione che il Re "...per grazia di Dio..." elargiva con "...affetto di padre...", la "...Legge Fondamentale, perpetua e irrevocabile della Monarchia...".
La fonte primaria di legittimazione del potere politico, nell'idea dello Statuto, era rappresentata dal Re e dalla sua dinastia che governavano per volere divino. Al contrario, la Costituzione repubblicana, facendo proprio il principio della dottrina democratica che si era affermato già con le Rivoluzioni borghesi del settecento, indica nel popolo la fonte primaria di legittimazione della sovranità, ribaltando l'antica concezione dello Stato.
Quest'ultimo non rappresenta più un'entità che domina dall'alto gli uomini, ma una forma di organizzazione che i cittadini creano con il loro consenso e nel loro interesse.

PUBBLICATO DALL'ALUNNA IVANA DI FRANCO 


venerdì 6 marzo 2015

Progetto legalità economica articoli 53 e 54 della costituzione . Lotta all'evasione fiscale alla contraffazione e alle sostanze stupefacenti . Per gentile concessione della guardi di finanza




Art. 53 Cost.: funzione solidaristica e principio di uguaglianza
L’art. 53 Cost. garantisce costituzionalmente la partecipazione alle spese pubbliche dei singoli che pongano in essere manifestazioni economicamente valutabili. Tutti gli individui che vengono a contatto con una certa comunità sono tenuti a contribuire secondo le modalità fissate dall’autorità politica, a contribuire alle spese pubbliche.
 E‘ questa la funzione solidaristica dell’art. 53 Cost: il tributo è un dovere di convivenza sociale, di cooperazione fra soggetti appartenenti allo stesso gruppo sociale, al fine di dividere le spese  comuni.
 Al legislatore spetta decidere quali devono essere le spese pubbliche, in relazione ai compiti che lo Stato si attribuisce e alle condizioni economiche del Paese. La scelta politica di come finanziare tali spese deve tener conto di diversi interessi, fra loro a volte contrapposti: promozione dello sviluppo, meritevolezza della promozione di alcuni settori della vita sociale, rispetto dell’integrità patrimoniale dei singoli, necessità di contemperare semplicità e certezza del prelievo a fronte di manifestazioni economiche molto diverse e complesse da individuare.
L’art. 53, I comma, rappresenta non solo un criterio di misurazione del prelievo di ricchezza, ma anche il presupposto di legittimità dell’imposizione tributaria e si collega strettamente al principio di uguaglianza sancito nell’art. 3 Cost. Infatti da esso si desume che le prestazioni tributarie devono gravare in modo uniforme su soggetti che manifestano la stessa capacità contributiva, e in modo differente, secondo il criterio della progressività, su soggetti che hanno manifestazioni di ricchezza differenti.

                Art. 53 : definizione e storia II

La capacità contributiva è l’idoneità economica dell’individuo a concorrere alle spese pubbliche, la quale si esprime attraverso indici economicamente valutabili, quali un patrimonio, un reddito, una spesa per consumi o investimenti, fenomeni, cioè, sempre suscettibili di valutazione economica. Sono invece incostituzionali imposte che colpiscano fenomeni diversi non suscettibili di una tale valutazione, per esempio imposte che incidano lo stato civile di una persona. La Corte, con la sentenza numero 45 del 1964 ha stabilito che: "Per capacità contributiva si deve intendere l’idoneità economica del contribuente a corrispondere la prestazione coattiva imposta". Lentamente, dunque, viene meno l’originario significato vago ed indeterminato attribuito dagli economisti, per rivelare un concetto importante quale quello di forza economica. Di conseguenza l’articolo 53 della Costituzione cessa di essere una norma meramente programmatica, per diventare una norma precettiva, cioè con efficacia vincolante per il legislatore ordinario.
Nella nozione di capacità contributiva occorre dunque individuare sia l’elemento solidaristico tutelato dall’art. 2 della Cost., sia l’elemento economico: la capacità contributiva esprime la funzione di garanzia e tutela dei diritti, costituendo un vero e proprio limite costituzionale al potere d’imposizione.

                 

                 

                 

                Art. 53 : definizione e storia II

Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Le prime analisi svolte sull’articolo 53 della Costituzione portarono ad un’interpretazione svalutativa del concetto di capacità contributiva, attraverso l’attribuzione di un senso vago ed indeterminato. Gli economisti, i primi ad analizzare questo concetto, lo considerarono come una "scatola vuota" a cui il legislatore poteva attribuire la portata più varia a seconda delle scelte di politica fiscale contingenti. Prevalse però presto l’idea che l’articolo 53 fosse una norma programmatica, quindi non di immediata applicazione:il legislatore aveva la possibilità di procedere successivamente a una più completa determinazione e specificazione di tale concetto. La conseguenza di tale interpretazione del principio di capacità contributiva fu che una norma che avesse potenzialmente violato tale principio, non potesse essere sottoposta al vaglio di legittimità da parte della Corte costituzionale. Dopo poco, però, con la storica sentenza n. 1 del 1956, la Consulta modificò tale impostazione, stabilendo che la verifica della legittimità costituzionale di una norma può anche derivare dal contrasto con una norma programmatica.

                Art.53 e limite quantitativo alla misura della prestazione

Il sacrificio patrimoniale che viene imposto ai consociati deve essere proporzionale alla concreta possibilità del singolo di potersi privare di una parte della propria ricchezza per metterla a disposizione della collettività, dopo aver soddisfatto i suoi bisogni essenziali.
Un reddito minimo non può in alcun modo essere considerato un indice di capacità contributiva, per cui lede l’art. 53 Cost. ogni tributo che possa incidere su tale minimo. Vi è dunque un limite massimo alla misura del tributo: spetta al legislatore, nella sua discrezionalità, fissare tale tetto, nel rispetto del principio di ragionevolezza e tenendo conto di tutti i tributi che gravano su di una medesima manifestazione di ricchezza.
 Un tributo deve rispettare quanto previsto dall’art. 53, collegandolo sinergicamente agli altri principi garantiti dalla Costituzione, fra i quali, in particolare,il diritto alla salute ex art. 32 Cost.
La Corte Costituzionale,
con la sentenza 134 del 1982, stabilì, in tema di detraibilità delle spese mediche dal reddito imponibile, che tale detrazione non può essere generale ed illimitata, ma va concretata e commisurata dal legislatore ordinario secondo un criterio che concili le esigenze finanziarie dello Stato con quelle del cittadino chiamato a contribuire ai bisogni della vita collettiva, non meno pressanti di quelli della vita individuale.

                Art. 53 Cost.: uguaglianza e coerenza interna del sistema

Il principio di uguaglianza non impedisce che vi possano essere trattamenti in apparenza differenti rispetto ad alcune fattispecie. Il sistema, infatti, legittima trattamenti di favore, quali agevolazioni , se ciò risponde a scopi costituzionalmente riconosciuti:
 è il caso, per fare alcuni esempi, di norme che agevolino la famiglia (art.31), la salute (art.32), il lavoro (art.35), il risparmio (art.47)Corollario del principio di uguaglianza, che impone al legislatore di trattare in modo uguale le situazioni che esso stesso mostra di considerare tali, è che la legge non deve contenere disposizioni intrinsecamente contraddittorie, esigendo coerenza interna.
Di fronte a situazioni che il legislatore considera uguali non sono ammissibili contraddizioni: il canone di coerenza riferito alla disciplina di un tributo comporta che, assunto un presupposto quale indice di capacità contributiva, ogni fattispecie imponibile deve essere espressione di quella particolare ipotesi di capacità contributiva. In tal senso la CC,
con la sentenza n.13 del 1986, in tema di imposta di successioni, dichiarò incostituzionali le norme dell’imposta de qua che trattavano i discendenti dei figli adottivi del de cuis in modo più sfavorevole rispetto ai discendenti dei figli legittimi

Art. 53: progressività del sistema I
La funzione solidaristica è presente anche nel riferimento alla progressività, consistente in un’imposizione proporzionalmente maggiore man mano che la base imponibile aumenta. La progressività è la caratteristica di un‘imposta la cui aliquota aumenta all'aumentare dell‘imponibile. L'imposta da pagare aumenta quindi più che proporzionalmente rispetto all'aumento dell'imponibile.
La progressività trova la sua tipica espressione nella progressività per scaglioni: l'aliquota del prelievo fiscale, infatti, ha una tendenza a crescere ma, al contempo, è costante per intervalli di imponibile.
La progressività dell'imposta ha la funzione di redistribuzione della ricchezza prodotta, contribuendo, con spirito solidaristico, al benessere della collettività.
Esempio di imposta progressiva a scaglioni:
·                        reddito da 0 a 10.000; aliquota d'imposta 10%; imposta 1.000; imposta complessiva 1.000
·                        reddito da 10.001 a 20.000; aliquota d'imposta 20%; imposta 2.000; imposta complessiva 3.000
·                         

                Art. 53: progressività del sistema II

Un'imposta non deve necessariamente essere progressiva. E’ possibile che vi siano imposte proporzionali, se l’ aliquota non varia al variare dell'imponibile, ovvero imposte regressive se l’aliquota decresce al crescere dell'imponibile.
L’imposta progressiva, proporzionale o regressiva è un’imposta variabile. Al contrario si ha un’imposta fissa qualora questa sia predeterminata in un ammontare fisso, prescindendo cioè dall’imponibile. Va notato che l'imposta fissa ha sempre carattere di regressività.
La progressività riguarda il sistema tributario nel suo complesso, cioè l’insieme dei tributi. Possono, dunque, legittimamente essere presenti imposte proporzionali o addirittura regressive, purchè esistano rilevanti imposte progressive che caratterizzino il sistema: la più importante imposta progressiva è quella sul reddito delle persone fisiche.

                Art. 53 Cost.: gli indici di capacità contributiva

La capacità contributiva permette di collegare la tassazione a vicende rilevanti sul piano economico. La tassazione deve essere improntata a criteri quali la certezza , la semplicità, la realizzabilità concreta del prelievo, la cautela contro frodi ed evasioni, la necessità di realizzare un sistema di controlli adeguato.
Tali criteri devono essere fra loro contemperati per realizzare la massima efficienza del prelievo.
La capacità contributiva è data dall’insieme delle manifestazioni economicamente rilevanti riferite ad una persona ed è influenzata da innumerevoli arricchimenti, impoverimenti, consumi, investimenti, possesso di beni patrimoniali; in ogni caso non è possibile fare un’elencazione tassativa degli indici di capacità contributiva.
 Il fatto espressivo di capacità contributiva per eccellenza e’ il reddito.
Misurare in modo preciso la capacità contributiva globale è praticamente impossibile: tutti i sistemi sottopongono a tassazione manifestazioni determinate di capacità economica, ma molte di esse sfuggono alla individuazione ed alla determinazione diretta ed indiretta; per tale motivo si utilizzano molteplici criteri di imposizione forfetaria o forme di presunzione per l’individuazione del reddito stesso.

La Corte Cost.,
con sentenza, n. 283/87, ha dichiarato legittimo l’utilizzo di tali strumenti, purchè sia salvaguardata la possibilità di fornire la prova contraria .

                Art. 53 Cost. : il requisito dell’attualità e retroattività della norma tributaria I

Al legislatore spetta trovare un equilibrio fra esigenze di certezza, semplicità, precisione , operando le scelte che in quel dato momento si reputano più importanti: ad esempio possono esservi disposizioni che privilegiano fini extrafiscali (sostegno a settori che si reputano meritevoli di tutela o socialmente apprezzabili, quali l’occupazione, il risparmio, lo sviluppo economico, la ricerca scientifica, l’ambiente, eccetera).Il legislatore ha una ampia discrezionalità di scelta politica, purchè rispetti i principi costituzionali e non dia vita a soluzioni irrazionali o contraddittorie. La Corte Costituzionale è l’organo preposto a verificare la ragionevolezza delle scelte di politica tributaria del legislatore, nel rispetto della discrezionalità legislativa.

                Art. 53 Cost. :il requisito dell’attualità e retroattività della norma tributaria II

Fondamentale è l’attualità della capacità contributiva, cioè che tale capacità esista nel momento in cui deve essere effettuato il prelievo, non potendosi colpire fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della relativa legge. Esistono dei limiti alla legittimità costituzionale dell’efficacia retroattiva delle norme fiscali impositive.
 Il riconoscimento che l’articolo 53 della Costituzione sia il possibile limite alla legislazione retroattiva sembra aver rappresentato un punto di convergenza della maggior parte dei giuristi che hanno affrontato il problema. Vi è un generale divieto di retroattività: questo non vuol dire che sia impossibile che un tributo sia retroattivo. Il fatto che in passato si sia stati titolari di ricchezza non permette però di presumere che, all’attualità, si sia ancora titolari di tale ricchezza. In tali fattispecie, dunque, occorre che il tributo si colleghi ad una capacità contributiva presente nel passato e si sia in presenza di presunzioni tali da far ritenere che la ricchezza si sia conservata fino al momento in cui il tributo deve essere effettivamente corrisposto.

                 

                Art. 53: nuove prospettive del principio

Attualmente si assiste ad una modifica del principio e della nozione di capacità contributiva, che mostra una profonda incertezza; ci si chiede, infatti, se sia possibile annoverare fra gli indici di capacità contributiva anche parametri connessi con il diverso status sociale dei vari contribuenti, tali da giustificare trattamenti fiscali differenziati. Un esempio particolarmente significativo è dettato dalla disciplina dell’IRAP, sottoposta a diverse pronunce di compatibilità costituzionale. In particolare, la sentenza n. 21/05, ha sancito che se l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta è identica per tutte le forme di attività autonomamente organizzata, siano esse di tipo imprenditoriale o professionale, ne discende che la sottoposizione di tutti i soggetti passivi alla medesima aliquota non contrasta né con il principio di eguaglianza né con quello di capacità contributiva. La Corte ha negato l’illegittimità costituzionale di un’unica aliquota, senza escludere la legittimità costituzionale di aliquote differenziate per settori. Occorre riflettere se ed entro quali limiti il legislatore possa esercitare il proprio potere di differenziazione del prelievo tributario a carico dei diversi settori produttivi senza recidere la correlazione (costituzionalmente imposta) tra prestazione tributaria e capacità contributiva. Si tratta di un tema estremamente attuale, tanto sotto il profilo prettamente costituzionalistico quanto, soprattutto, sotto quello politico (in senso lato).







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Incontro con la squadra catturandi



Per motivi di sicurezza le foto sono state oscurate .
I LIBRI DELLA SQUADRA CATTURANDI


LA SQUADRA CATTURANDI



Ha scritto tre libri, e La catturandi oltre la fiction è il secondo che, da poliziotto in incognito, dedica al suo gruppo operativo, la sezione della squadra Mobile di Palermo attiva dal 1995 e che, da allora, ha individuato e arrestato una trentina di pericolosi latitanti e sgominato la cupola di Cosa nostra.  Si firma con l'acronimo di I.M.D., e il suo identikit è sconosciuto. Le sue foto sono a volto coperto dal passamontagna e la sua identità è segreta. Il motivo è la sicurezza personale e, al momento del primo libro sulla Catturandi scritto nel 2009, la Polizia di Stato ha dettato le regole per tutelarla, regole che lui si è impegnato a rispettare.

Catturandi oltre la fiction è diviso in due parti. Nella prima, "L'azione", I.M.D. riassume le operazioni recenti e i successi messi a segno dal gruppo della Mobile negli ultimi anni. Nella seconda, "La riflessione", formula ipotesi e ragionamenti sulla trasformazione in corso dentro Cosa nostra e sulle strategie che sarebbe utile adottare nella lotta contro la Mafia ai giorni nostri.

Qualcosa dell'autore però si può dire: è un poliziotto palermitano, ha quarant'anni ed è ormai uno scrittore con esperienza. Come esponente della Catturandi ha partecipato ad arresti eccellenti tra i quali, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Sandro e Salvatore Lo Piccolo, e tanti altri. Promosso per tre volte per merito straordinario, oggi si occupa di mafie straniere e di prostituzione

I.M.D. è però restio a lasciarsi andare a bilanci troppo ottimisti. "Resta ancora molto da fare", avverte mentre, anche se ammette di non poter indicare con precisione responsabilità e coperture, tiene a sottolineare come, dietro i tanti misteri irrisolti che hanno indebolito l'Antimafia negli ultimi vent'anni, si possa facilmente supporre che ci siano state coperture e complicità. E accusa: "se non si otterrà la collaborazione da parte di qualche personaggio direttamente coinvolto nella trattativa Stato-mafia appartenente all'apparato politico-istituzionale di allora, la possibilità di far cadere il castello delle menzogne sarà minima".

A parere del poliziotto in incognito che tanto bene conosce la materia, infatti, per andare avanti nell'operazione di contrasto contro la criminalità organizzata, è urgente far luce sui misteri chiave della lotta alla Mafia: quello che tuttora circonda il fallito attentato a Giovanni Falcone nella sua villa dell'Addaura, i tanti interrogativi sulla sparizione dell'agenda rossa di Paolo Borsellino dopo la strage di via D'Amelio, l'omicidio dell'agente di polizia Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini e, infine, i retroscena di tante altre (troppe) vicende oscure del recente passato, caratterizzate da depistaggi, distorsioni, mancanza di informazioni e omertà. 

Da poliziotto in incognito, la sua esperienza contro la Mafia nella Catturandi...
Per dirla con le parole di Cono Incognito, ex dirigente della Catturandi, è stata un'esperienza entusiasmante, unica nel suo genere. E, aggiungo, faticosa ma premiante. Va ricordato che questa sezione della Squadra Mobile di Palermo dal 1995 a oggi ha ottenuto il 100% di risultati positivi. In un ventennio, oltre trenta pericolosissimi mafiosi fuggiaschi (tra i quali Bernardo Provenzano, Vito Vitale, Giovanni Brusca e Salvatore e Sandro Lo Piccolo) sono stati arrestati. E' finita in carcere l'intera cupola di Cosa nostra, se si escludono Totò Riina e pochi altri boss, presi dai nostri "cugini" carabinieri. Di questo lavoro ho scritto in tre dei miei libri (Catturandi, 100% sbirro e La Catturandi - La verità oltre le fiction), che ho firmato con l'acronimo I.M.D., scelto con la casa editrice Dario Flaccovio perché, per motivi di sicurezza personale, all'epoca della mia prima pubblicazione il dipartimento della Polizia di Stato mi invitò a non usare il mio nome e a non mostrare mai il mio volto. Ecco il motivo per cui non circolano nemmeno mie fotografie, né riprese video in cui mi svelo. L'identità di noi poliziotti della sezione è mantenuta segreta perché abbiamo a che fare con criminali pericolosissimi, dai quali - nonostante tutte le cautele - abbiamo ricevuto molte intimidazioni. Una volta, solo per fare un esempio, dopo la fuga del latitante Gaspare Spatuzza, messa in risalto da vari articoli di stampa, i mafiosi ci fecero recapitare alla Squadra Mobile alcuni bigliettini di minaccia, diversi dai soliti che riceviamo, e più inquietanti: riportavano l'annotazione delle targhe di alcune auto civetta che utilizzavamo per lavoro e, sopra i numeri, erano disegnate alcune croci nere. Questo per informarci che conoscevano benissimo i mezzi con cui ci spostavamo.

Dal suo osservatorio, che cosa può dire sulla nota e controversa vicenda della trattativa Stato-mafia?
Proprio per le loro caratteristiche, le indagini della Catturandi non hanno mai riguardato soggetti diversi dai latitanti di mafia. L'unica cosa che posso sottolineare è che un foltissimo apparato di uomini e mezzi è stato utilizzato a protezione della latitanza di Bernardo Provenzano, di fatto rallentando e ostacolando le indagini mirate alla sua individuazione e al suo arresto. C'è anche un capitolo su questo argomento nel mio nuovo libro. Personalmente, non posso che concordare con la tesi della procura della repubblica di Palermo sull'esistenza di una trattativa e sostenere il conseguente tentativo di ottenere una verità processuale che faccia luce su tutto quello che è accaduto. Non entro nel merito della mancata perquisizione nella casa di Totò Riina in via Bernini, a Palermo, dopo la sua cattura da parte dei carabinieri, ma sicuramente dal punto di vista operativo, nonostante i processi, resterà sempre vivo il dubbio che qualcosa di strano o di scorretto sia successo, coerentemente con quanto afferma chi sospetta e investiga sull'esistenza della trattativa stessa. Non essendo stato presente e non conoscendo i dettagli di quell'operazione, non sono in grado di dire nulla di certo in merito. Ma mi preme sottolineare che in diciott'anni di attività in polizia, e in particolare di ricerca e arresto dei latitanti, a me non è mai capitato di non poter fare una perquisizione nel nascondiglio, quando individuato, di un boss fuggitivo. 

Quanto è stato fatto per chiarire i misteri tuttora irrisolti e quanto resta da fare.
Io credo che da parte delle forze dell'ordine e della magistratura ci sia il massimo impegno. Nonostante ciò, ritengo che, se non si otterrà la collaborazione da parte di qualche personaggio direttamente coinvolto nella trattativa Stato-mafia e appartenente all'apparato politico-istituzionale di allora, la possibilità di far cadere il castello delle menzogne sia minima. Bisogna fare luce, assolutamente, sui misteri che circondano il fallito attentato a Giovanni Falcone nella sua villa dell'Addaura, su che fine abbia fatto l'agenda rossa di Paolo Borsellino dopo la strage di via D'Amelio, sull'omicidio dell'agente di polizia Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio a Villagrazia di Carini e su cosa si celi dietro tante, tantissime altre vicende oscure caratterizzate da depistaggi, distorsioni, mancanza di informazioni e omertà. Spero vivamente che il processo imbastito e portato avanti con determinazione dalla Procura di Palermo sensibilizzi qualcuno o stani chi sa ciò che è accaduto davvero e fino a ora non ha parlato. Senza una collaborazione da parte di chi è stato protagonista di questi casi irrisolti sarà difficile arrivare alla verità. Mi rendo conto che è facile sospettare di altri e non guardare a se stessi. Anche alla polizia, intendo. E se la trattativa è andata come molti sostengono, pure certi poliziotti possono aver avuto le loro responsabilità, senza dubbio. Penso però che molti di coloro che oggi sono dipinti come collusi siano invece vittime, essi stessi, di una trattativa avvenuta a un livello molto più alto. In ogni caso, bisogna fare giustizia. Lo dobbiamo ai familiari di chi è stato assassinato - stritolato da logiche criminali che ancora ci sfuggono - e anche a noi stessi.
   
I.M.D. Un poliziotto in incognito

PUBBLICATO SUL BLOG DALL'ALUNNO LUNETTO SALVATORE LORENZO

lunedì 2 marzo 2015

La democrazia italiana

La democrazia è quella forma di governo dove il potere è esercitato dal popolo attraverso i suoi rappresentanti, tramite i seguenti appunti ne potrete trarre il significato. A prescindere dalla natura dell'istituto politico che rappresenta la volontà del popolo, si ha un paese democratico quando in esso sono garantiti gli ideali di giustizia, di libertà e di uguaglianza fra tutti i cittadini. Ideali che venendo a mancare, minacciano l'armonia democratica dello stato, indispensabile per la libera estrinsecazione di esso stesso. Nelle antiche civiltà dell'Oriente mediterraneo non esistette forma alcuna di democrazia: il potere del sovrano era assoluto. 1 Una prima forma di limitazione al potere regio si trova presso gli Ittiti mentre soltanto in Grecia in età omerica si ha con l'assemblea del popolo che sarà la democrazia della polis greca in età classica. Durante il Medioevo, attraverso l'insegnamento spirituale del Vangelo e attraverso l'inserimento di certe nuove forze tendenti a rinnovare la società, si ebbero dei sodalizi fondati sull'uguaglianza e sulla comunione dei beni. La più antica democrazia dei tempi moderni è la Confederazione Elvetica: esperimento attuato, tuttavia, su una scala troppo ristretta e municipale per essere passibile di estensione. La formazione della mentalità democratica moderna si confonde, all'origine, con quella del liberalismo per distinguersi poi, pur sempre con molteplici e necessarie interferenze nella seconda metà del diciottesimo secolo e nel corso del diciannovesimo. 2 Alla sua radice sono: l'affermazione della libertà religiosa della Riforma protestante, nell'individualismo del libero esame e nell'ardore di un animo non conformista (che ispira la prima comunità democratica in America); l'istanza critica della filosofia cartesiana fondata sul lume naturale della ragione, principio dell'eguaglianza intellettuale degli uomini; lo svolgimento del giusnaturalismo con la convinzione che gli uomini nascano dotati di imprescrittibili diritti naturali (alla felicità, alla libertà di pensiero e parola, di proprietà, di resistenza all'oppressione) da realizzare in un nuovo ordine politico. Il primo grande teorico della democrazia moderna è John Locke, per il quale la proprietà e la libertà sono diritti naturali, che devono essere tutelati dallo stato. 3 Lo stato sorge a tale scopo per contratto e, dove il governo per arbitrio oltrepassi i limiti di questa specifica regola, il popolo ha il diritto di abbatterlo e di sostituirlo con un altro governo rispettoso dei limiti e dei fini per i quali è stato istituito. Di queste idee liberal-democratiche è permeato l'Illuminismo il cui spirito democratico ha carattere spiccatamente razionalistico, in quanto scorge in generale la dignità e l'uguaglianza degli uomini del libero uso dello strumento intellettuale del giudizio Il principio di uguaglianza i) Si differenzia da queste posizioni il pensiero di Rousseau, col quale l'ideologia democratica acquista una fisionomia distinta dal filone liberale esortando a a difendersi dai pericoli del dispotismo.Il metodo più democratico, è quello parlamentare nonché il più oneroso per il cittadino, al quale viene continuamente richiesto un continuo interesse per la questione pubblica. moderna si confonde, all'origine, con quella del liberalismo per distinguersi poi, pur sempre con molteplici e necessarie interferenze nella seconda metà del diciottesimo secolo e nel corso del diciannovesimo. 2 Alla sua radice sono: l'affermazione della libertà religiosa della Riforma protestante, nell'individualismo del libero esame e nell'ardore di un animo non conformista (che ispira la prima comunità democratica in America); l'istanza critica della filosofia cartesiana fondata sul lume naturale della ragione, principio dell'eguaglianza intellettuale degli uomini; lo svolgimento del giusnaturalismo con la convinzione che gli uomini nascano dotati di imprescrittibili diritti naturali (alla felicità, alla libertà di pensiero e parola, di proprietà, di resistenza all'oppressione) da realizzare in un nuovo ordine politico. Il primo grande teorico della democrazia moderna è John Locke, per il quale la proprietà e la libertà sono diritti naturali, che devono essere regio si trova presso gli Ittiti mentre soltanto in Grecia in età omerica si ha con l'assemblea del popolo che sarà la democrazia della polis greca in età classica. Durante il Medioevo, attraverso l'insegnamento spirituale del Vangelo e attraverso l'inserimento di certe nuove forze tendenti a rinnovare la società, si ebbero dei sodalizi fondati sull'uguaglianza e sulla comunione dei beni. La più antica democrazia dei tempi moderni è la Confederazione Elvetica: esperimento attuato, tuttavia, su una scala troppo ristretta e municipale per essere passibile di estensione. La formazione della mentalità democratica moderna si confonde, all'origine, con quella del liberalismo per distinguersi poi, pur sempre con molteplici e necessarie interferenze nella seconda metà del diciottesimo secolo e nel corso del diciannovesimo. DA : PIZZURRO DOMENICO

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