venerdì 13 marzo 2015

Dallo Statuto del Regno alla Costituzione della Repubblica italiana

Dallo Statuto del Regno alla Costituzione della Repubblica italiana

Profilo storico
La Costituzione della Repubblica Italiana è la legge fondamentale e fondante dello Stato italiano.
Fu approvata dall'Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 e promulgata dal capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947. Fu pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 298, edizione straordinaria, del 27 dicembre 1947 ed entrò in vigore il 1º gennaio 1948.
Lo Stato italiano nasce, da un punto di vista giuridico-istituzionale, con la legge del 17 marzo 1861 che attribuisce a Vittorio Emanuele II, «re di Sardegna», e ai suoi successori, il titolo di «re d'Italia». È la fondazione di uno Stato italiano, sebbene altri Stati, nel passato, avevano già portato tale nome, dai tempi dei Goti ai Longobardi, per finire al periodo napoleonico.
La continuità tra il Regno di Sardegna e quello d'Italia è normalmente sostenuta in base alla estensio ne dell'applicazione della «Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia», il cosiddetto Statuto albertino, dal nome del re che lo promulgò, Carlo Alberto di Savoia-Garignano, nel 1848, adottato da tutti i territori progressivamente annessi al Regno sardo-piemontese a seguito  delle guerre d'indipendenza.
Lo Statuto Albertino, nonostante non abbia natura di fonte legislativa sovraordinata alla legge ordinaria, può essere considerato a tutti gli effetti un primo esempio di costituzione breve.
 Lo Statuto albertino fu simile ad altre costituzioni rivoluzionarie vigenti nel XIX secolo e rese l'Italia una monarchia costituzionale, con concessioni di poteri al popolo su base rappresentativa. Era una tipica costituzione "ottriata", (dal francese octroyée: concessa), ossia “concessa” dal sovrano e, da un punto di vista giuridico, si caratterizzava per la sua natura "flessibile", ossia derogabile ed integrabile in forza di atto legislativo ordinario1. Poco tempo dopo la sua entrata in vigore, proprio a causa della sua flessibilità, fu possibile portare l'Italia da una forma di monarchia costituzionale pura a quella di monarchia parlamentare, sul modo di operare tradizionale delle istituzioni inglesi. Lo Statuto albertino corrisponde a ciò che si definisce una costituzione breve: si limita ad enunciare i diritti (che sono per lo più libertà dallo Stato) e ad individuare la forma di governo, ma non si pone il fine di raggiungere obiettivi di convivenza, né di prefigurare i rapporti dei consociati (Stato-comunità) tra di loro e tra questi e lo Stato-apparato.
 Il primo Parlamento dello Stato unitario, all’inizio del 1861, si compose con un suffragio elettorale ristretto al 2% della popolazione; nel 1882 il diritto di voto fu portato al 7% della popolazione; con le  riforme del 1912 e 1918, il diritto fu esteso fino a una forma di suffragio universale maschile.


(1)    La prima modifica che lo Statuto subirà sarà quella relativa alla bandiera, da quella con la coccarda azzurra a quella con la coccarda tricolore, a seguito della ribellione del Lombardo-Veneto (1848)


Nell'aprile del 1945 gli alleati angloamericani e le organizzazioni partigiane portarono a compimen-to la liberazione di tutto il territorio nazionale. Si trattava ora di porre le basi del nuovo Stato.
Già con il Patto di Salerno dell'aprile del 1944, stipulato tra il Comitato di Liberazione Nazionale e la Monarchia, si decise, tra l'altro, di procedere alla scelta tra la Monarchia e la Repubblica a conclusione delle operazioni belliche. Con lo stesso Patto si decise anche che, a guerra terminata, gli italiani avrebbero dovuto eleggere un'Assemblea Costituente con il compito di redigere una nuova Costituzione.
Dal 1928 il popolo italiano non era più stato chiamato alle urne, ma, finalmente,
il 2 giugno 1946
si celebrarono le elezioni. Ad ogni italiano, uomo o donna di almeno 21 anni di età, vennero consegnate due schede: una per la scelta fra Monarchia e Repubblica, il cosiddetto referendum istituzionale, l'altra per l'elezione dei 556 deputati dell'Assemblea Costituente sulla base di un sistema elettorale proporzionale a liste concorrenti e collegi elettorali plurinominali.
Esse rappresentarono, nella storia del Paese, le prime elezioni che si svolsero a suffragio universale, maschile e femminile; per la prima volta il diritto di voto venne esteso anche alle donne.

La proclamazione della Repubblica

Il 9 maggio 1946 avvenne l'abdicazione del Re Vittorio Emanuele III a favore del figlio Umberto II, il quale, prendendo atto dell’esito del referendum, a favore della Repubblica,
il 13 giugno 1946, decise di lasciare il Paese con la sua famiglia e andare in esilio, riconoscendo la sconfitta e la fine della Monarchia.
Il 18 giugno 1946 la Corte di Cassazione, preso atto dei voti espressi, sul cui computo non mancarono polemiche, proclamò ufficialmente la vittoria della Repubblica.
Il primo Presidente della Repubblica italiana fu Luigi Einaudi, eletto dal Parlamento secondo le regole contenute nella nuova Costituzione (tit. II della seconda parte), il 12 maggio 1948, dopo le prime elezioni politiche vere e proprie del 18 aprile dello stesso anno. Fino ad allora assunse le funzioni di Capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola che venne eletto dall'Assemblea Costituente appena insediatasi.

 

L'Assemblea Costituente


Gli esiti dell'elezione dei 556 componenti dell'Assemblea Costituente che, in rappresentan-za del popolo, avrebbero elaborato la nuova Costituzione, furono per lo più favorevoli a quei partiti politici che avevano combattuto la dittatura e, in particolare nel corso della Resistenza, si erano riorganizzati assumendo un ruolo guida nella lotta armata contro il nazifascismo e nella transizione dallo Stato fascista al nuovo Stato.
Il 25 giugno 1946 venne insediata l'Assemblea Costituente che, come già ricordato, come suo primo atto procedette alla nomina del Capo provvisorio dello Stato nella persona di Enrico De Nicola; dopo di che iniziarono i lavori di predisposizione del testo della nuova Costituzione. Una commissione composta da 75 membri rappresentativi di tutta l'Assemblea ricevette l'incarico di redigere un progetto che avrebbe dovuto servire da base per la successiva discussione.
Dopo circa sei mesi di attività, la "Commissione dei 75" presentò il suo lavoro all'Assemblea che nel corso di quasi tutto il 1947 discusse, integrò, modificò, articolo per articolo, quella prima proposta e, finalmente, il 22 dicembre dello stesso anno approvò a larghissima maggioranza il testo definitivo della Costituzione che successivamente venne promulgato dal Capo provvisorio dello Stato ed entrò in vigore il primo gennaio 1948

 

 

Una Costituzione che nasce dal popolo


Per la prima volta gli italiani avevano una Costituzione elaborata direttamente dai loro rappresentanti liberamente e democraticamente eletti.
Essa rappresenta, come la definì un grande giurista antifascista e membro dell'Assemblea Costituente, Piero Calamandrei, "il programma politico della Resistenza". Egli scrisse: "...Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi: caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento... morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta...". E ancora: "...Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione".
La Costituzione si affermò come patto fondamentale tra forze politiche diverse, ma accomunate dall'antifascismo e da una forte ispirazione ideale nata nella guerra di Liberazione.
Ad essa i Costituenti decisero di imprimere il carattere della rigidità, collocandola al vertice di tutto l'ordinamento giuridico. Si tratta di una caratteristica propria di quasi tutte le Costituzioni democratiche del novecento legata, appunto, al valore di patto fondamentale tra le diverse forze politiche che esse assumono.
I Costituenti decisero dunque di mettere al riparo gli articoli della Costituzione repubblicana da eventuali futuri colpi di mano di momentanee maggioranze politiche, parlamentari e di Governo, imprimendo ad essa il carattere della rigidità. Le regole del gioco e i principi su cui si sarebbe edificato il nuovo ordinamento non potevano essere toccati se non con un apposito procedimento di revisione costituzionale, molto più lungo e gravoso del normale procedimento legislativo e comunque solo con la partecipazione di larghissimi schieramenti politici.
L'art. 138 della Costituzione, infatti, prevede per la modifica di una parte della stessa Costituzione una doppia votazione ad opera delle due Camere, ad intervallo non inferiore a tre mesi, una maggioranza qualificata per l'approvazione e l'eventualità di un referendum popolare qualora ne facciano richiesta un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori o cinque consigli regionali, ma solo nel caso in cui l'approvazione sia avvenuta a maggioranza inferiore ai due terzi e, comunque, superiore alla maggioranza assoluta.
Un altro importantissimo meccanismo giuridico, a tutela della rigidità della Costituzione, è poi previsto da altre norme della stessa Costituzione collocate immediatamente prima dello stesso articolo 138, nel medesimo tit. VI della seconda parte, non a caso intitolato "Garanzie costituzionali". Si tratta della Corte Costituzionale, non presente nel vecchio Statuto Albertino, che ha, tra i suoi compiti principali, quello di giudicare le controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni (art. 134 Cost.).
La Corte Costituzionale può abrogare tutte le norme di legge che contrastino con la Costituzione, che in tal modo è effettivamente, e non solo formalmente, saldamente collocata al vertice di tutto il diritto italiano come una sorta di "legge delle leggi", a massima garanzia e tutela del patrimonio ideale della lotta antifascista da cui essa nacque e degli altissimi valori che essa espresse, contenuti nelle diverse disposizioni costituzionali.

 

Le idee e i contenuti della Costituzione

 

La Costituzione Italiana, in vigore dai 1° gennaio 1948, è composta da 139 articoli e suddivisa in Parti. Queste a loro volta sono suddivise in Titoli, taluni dei quali suddivisi in Sezioni, tutti preceduti dai "Principi fondamentali". Oltre ai principi fondamentale, la Costituzione consta di due parti: la prima relativa ai "Diritti e doveri dei cittadini"; la seconda riguardante l' "Ordinamento della repubblica".


I Principi fondamentali (articoli da 1 a 12) contengono le decisioni essenziali sul tipo di Stato e sul tipo di società voluti dalla Costituzione.
In particolare, essi stabiliscono:
- Le regole essenziali relative allo Stato in quanto tale: il suo carattere repubblicano e democratico;
- I rapporti essenziali tra lo Stato e i singoli, col riconoscimento dei diritti inviolabili e dell'uguaglianza tra gli uomini;
- I principi più importanti che riguardano i rapporti tra lo Stato e gli altri ordinamenti, in particolare con la Chiesa cattolica e le altre confessioni religiose, e con l'ordinamento internazionale.

La Parte prima della Costituzione è intitolata Diritti e doveri dei cittadini (articoli da 13 a 54) ed è divisa in quattro Titoli, che trattano delle posizioni soggettive considerando le persone in quanto tali e poi allargando la prospettiva alle diverse strutture in cui esse sono inserite, dalla famiglia, alla scuola, all'organizzazione economica e a quella politica.

La Parte seconda è intitolata Ordinamento della Repubblica (articoli da 55 a 139) e contiene le regole sull'organizzazione dello Stato.

In coda alla Costituzione sono state collocate 18 Disposizioni transitorie e finali; esse hanno la medesima efficacia delle altre norme della Costituzione, cioè sono fonti costituzionali.
Sono state collocate a parte per due ragioni:
- le norme transitorie sono quelle che prevedono vari adempimenti, con le relative scadenze temporali, richiesti per la messa in opera delle previsioni costituzionali e per saldare l'ordinamento precedente con il nuovo;
- le disposizioni finali contengono norme che fanno eccezioni ai generali diritti civili e politici, dettate per la particolare situazione storica dell'Italia, al termine del ventennio fascista e alla fine del periodo monarchico.
Si definiscono finali semplicemente perché sono state collocate alla fine della Costituzione.

La maggior parte di questi articoli fu approvata con larghissime maggioranze, ma il loro contenuto è il frutto dell'incontro di idee e valori dei partiti presenti all'interno dell'Assemblea Costituente, spesso diversi, tuttavia uniti dal comune sentire della lotta antifascista e dalla ferma volontà di dare all'Italia una Costituzione che traducesse in precise disposizioni le speranze e le attese per un profondo mutamento dello Stato e della società.
La Costituzione italiana nasce dalla confluenza di diversi principi ispiratori: all'idea democratica di base, si uniscono i valori dell'antica tradizione liberale italiana, quelli propri del socialismo dei partiti della sinistra e infine quelli della dottrina sociale della Chiesa a cui si ispirava la Democrazia Cristiana.
Il risultato che ne conseguì venne definito da molti un compromesso costituzionale, il che non deve però erroneamente richiamare una soluzione deleteria o di basso profilo. Al contrario, esso rappresentò il desiderio di edificare un impianto costituzionale in cui ogni Costituente cercò di dare il meglio della sua concezione e in cui la maggior parte degli italiani potesse identificarsi.
La Costituzione repubblicana non nacque quindi dalla preponderanza di una parte politica sulle altre, ma da un aperto e fecondo incontro ideale, da un'intesa che doveva servire come guida alle variabili maggioranze parlamentari e di Governo che, domani, diversamente interpretandola, avrebbero dovuto poi tradurla in provvedimenti concreti.
D'altra parte è nella natura di tutte le Costituzioni democratiche di questo secolo, che scaturiscono da Assemblee Costituenti elette a suffragio universale e rappresentative di diverse aspirazioni e interessi, il loro affermarsi come patto sociale, punto di convergenza tra diverse forze politiche che affidano a questa legge fondamentale il compito di fissare quei principi in cui tutta una Nazione si possa riconoscere, a garanzia della loro legittimità e del loro rispetto effettivo.
A maggior ragione è comprensibile, e, se possibile, assume anche maggior valore, l'intesa che fu alla base della Costituzione italiana da parte di quelle forze politiche che, dopo la tragedia della dittatura e della guerra, volevano tradurre in norme i valori ideali della Resistenza e della lotta contro il nazifascismo che le avevano accomunate, nonostante le diverse matrici ideali che le animavano fossero il riflesso di una società non omogenea, spesso agitata da conflitti sociali, in cui sussistevano differenze profonde, fra le diverse classi e fra appartenenti alle stesse classi nel Nord e nel Sud.

L'idea base della Costituzione italiana è rappresentata dal valore che viene attribuito alla democrazia. L'art. 1 dichiara che "L'Italia è una Repubblica democratica..." in cui "La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".
Lo Statuto Albertino, al contrario, si apriva con l'enunciazione che il Re "...per grazia di Dio..." elargiva con "...affetto di padre...", la "...Legge Fondamentale, perpetua e irrevocabile della Monarchia...".
La fonte primaria di legittimazione del potere politico, nell'idea dello Statuto, era rappresentata dal Re e dalla sua dinastia che governavano per volere divino. Al contrario, la Costituzione repubblicana, facendo proprio il principio della dottrina democratica che si era affermato già con le Rivoluzioni borghesi del settecento, indica nel popolo la fonte primaria di legittimazione della sovranità, ribaltando l'antica concezione dello Stato.
Quest'ultimo non rappresenta più un'entità che domina dall'alto gli uomini, ma una forma di organizzazione che i cittadini creano con il loro consenso e nel loro interesse.

PUBBLICATO DALL'ALUNNA IVANA DI FRANCO 


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Prof. Antonio Passannanti

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